Pietro Bianco

 

 

 

Storia del brigante Pietro Bianchi

Tra mito e realtà, si sviluppa la storia del brigantaggio calabrese dell’ottocento. E’ una piaga che affonda le sue radici nel profondo disagio meridionale, nei confronti di quella Unità d’Italia che, vista da sud, sembrò piuttosto un’annessione ai Savoia che un concreto passo avanti verso l’unificazione. Ma se “Brigante, nel senso proprio della parola, significa grassatore, assassino, malfattore, nel senso popolare l’appellativo di “Brigante” si accompagna all’idea di “Guerra ai Governi”, di coraggio temerario e forse anche di patriottismo.

Anche il Comune di Bianchi fu interessato al fenomeno, in particolare nella persona di PIETRO BIANCHI .        

Dai registri anagrafici del Comune di Bianchi risulta che: “… nell’anno 1839, il 31 Marzo, alle ore 22, da Domenico Bianchi, di anni 36 pastore, e da Rosa Bianchi, filatrice di anni 34, è nato un fanciullo. Nello stesso anno, il 31 Dicembre, il parroco della Chiesa di San Giacomo lo ha battezzato col nome di Pietro.

Stando alle cronache più o meno ufficiali, il brigante inizia la sua “carriera” all’età di 19 anni, dopo una disputa avvenuta il mattino del 19 agosto1858 fra lui ed un altro ” furise” (pastore), Domenico Stocco di Carlopoli (CZ) dandosi alla macchia dopo averlo ucciso con due colpi di coltello.

Iniziò, per lui, la vita fra i pini della Sila che grazie al suo mestiere conosceva molto bene utilizzandone i possibili e sicuri rifugi che potevano offrirgli.

Con i suoi accoliti, di cui era il capo indiscusso, grazie ai suoi modi autoritari ed inflessibili, che non lasciavano spazio a pietà o misericordia nei confronti di alcuno,  Mancuso Rocco, Brusca Saverio, Caserta Santo, Brusca Santo, Villetti Pasquale, Muraca Bernardo, Pettinato Giacomo, Caserta Mario, imperversò nella zona di Bianchi, tra i pini della Regia Sila e nel Crotonese.

Nel Comune di Bianchi ebbe due rifugi montani

nelle zone dette   ” Malisirici” e “Mancusi”, che

gli servivano per nascondersi alla ricerca dei

Gendarmi. Grazie a questi ed al fitto muro di

omertà egli scappò più volte all’assedio della

legge, nonostante pendesse sulla sua testa la

grossa taglia di 2.000 Ducati e di 500 per i

suoi compagni. A Malisirici si può visitare la

grotta, alla fine del sentiero, che fu il suo rifugio.

                                                                                                        Pietro Bianchi e la sua banda

LA CATTURA

L’elenco dei suoi numerosi delitti, consumati con cinica crudeltà, è qualcosa di veramente raccapricciante. Fu arrestato il 14 Marzo 1867*, a Colla, Frazione di Soneria Mannelli, ad opera dei Tenenti De Angelis e Bonini, pare a seguito del tradimento di una sua cognata , che gli aveva procurato un sicuro rifugio in una grotta ben mimetizzata e che terrorizzato dalla polizia, fu costretto a rivelare l’ubicazione del nascondiglio.

IL PROCESSO

Durante il processo a suo carico, celebrato nella Corte d’Assise di Cosenza, fu ritenuto colpevole dei seguenti reati con la sentenza emessa in data 17 Luglio 1872: Di associazione di malfattori, Di estorsione con sequestro di persona, Di estorsione, Di grassazione, Di omicidio volontario, Di ribellione, Di complicità nel ratto violento di Drusiana Vittoriana,

Visto il verdetto dei giurati dal quale risulta che l’accusato Pietro Bianco è stato dichiarato colpevole dei reati ascrittigli:

La Corte

….condanna Pietro Bianco di Domenico nato in Bianchi alla pena di morte, al ristoro de’ danni verso le parti offese ed al pagamento delle spese del procedimento verso l’Erario Nazionale.

Il difensore del brigante produsse ricorso, che però fu rigettato con ulteriore sentenza del 12 maggio 1873.

Per Pietro Bianco è la fine.

Nell’alba grigia del 19 Settembre del 1873, all’età di 34 anni, il brigante venne condotto al patibolo nel Vallone di Rovito, presso Cosenza, dove fu decapitato, chiudendo così la sua scellerata esistenza. Il supplizio fu consumato nel luogo santificato dal sangue degli eroici Fratelli Bandiera, fucilati insieme ai loro compagni di sventura il 25 Luglio del 1844.

Eppure qualcuno afferma che egli fosse a Teano al fianco di Garibaldi. Fu ciò che affermò anche il suo avvocato difensore, Vincenzo Giglio, durante il processo, aggiungendo, rivolto all’imputato: “Te felice se fossi caduto combattendo sotto le mura di Capua o sulle rive del Volturno! Avresti così chiuso la tua vita nel periodo di una carriera gloriosa. Ora vedi contraddizione delle cose umane, Bianco! Batti la via del patibolo”.